La festa in onore di Sant’Antuono (ovvero Sant’Antonio Abate) è la festività più importante e sicuramente più sentita dal popolo di Macerata Campania e dalle popolazioni dei paesi limitrofi. Essa rappresenta un momento storico, culturale, artistico–folcloristico dell’intera cittadinanza e viene celebrata il 17 di gennaio di ogni anno. Il periodo di festeggiamento è inoltre completato dal sabato e dalla domenica che lo precede.
Un mix di religiosità, folklore, tradizioni e partecipazione popolare, la festa di Sant’Antonio Abate è soprattutto questo.
L’evento nella sua interezza è caratterizzato sia da momenti dedicati al culto del Santo, che da momenti di puro e storico folklore popolare. II culto, inteso come devozione e venerazione, che i maceratesi tributano a Sant’Antonio Abate segue i normali canoni della liturgia ecclesiastica e, nei giorni di festività, questi si concretizzano in funzioni religiose come da liturgia. Per quanto riguarda il folklore abbiamo la tipica ed ineguagliabile sfilata delle “Battuglie di Pastellessa”, ovvero dei “Carri di Sant’Antuono” sui cui trovano alloggio i cosiddetti “Bottari di Macerata Campania”, che ripropongono l’antica sonorità maceratese dall’omonimo nome la “Pastellessa” (o “Pastellesse”).
La particolarità legata ai Bottari di Macerata Campania e alla Pastellessa è dovuta essenzialmente alla tipologia di strumenti musicali utilizzati: i classici e conosciuti strumenti musicali, sono sostituiti con botti, tini e falci, cioè con strumenti e arnesi di uso contadino che assumono una nuova veste di natura musicale. «Le percussioni ottenute dal battere continuo dei magli sulle botti, il rollio delle mazze sui tini e gli alti ottenuti battendo dei ferri sulle falci portano alla creazione di quel “magico” suono chiamato Pastellessa».

Il video-documentario

“Cartolina per un Week-end NTV Viaggi & Sapori”, scritta e diretta nel 2011 dalla dott.sa Corrada Onorifico.

Origini storiche

Macerata Campania, XIII sec. … la vera origine della Pastellessa!

Per capire come sono nati gli antichi riti tradizionali della Festa di Sant’Antuono a Macerata Campania bisogna fare un passo indietro nel tempo fino ad arrivare al XIII secolo. Al tempo il paese di Macerata Campania si presentava come una comunità prevalentemente agricola ed artigianale, dove il lavoro dei campi richiedeva l’uso di una ricca gamma di attrezzi e strumenti che venivano fabbricati dagli artigiani locali. Costoro, durante le tradizionali fiere agricole, per evidenziare la solidità degli attrezzi da un lato e per attirare l’attenzione dei passanti dall’altro, percuotevano con magli le botti, con mazze i tini e con ferri le falci, creando una commistione di suoni che scoordinati ed asincroni apparivano persino assordanti, ma che con i voluti o forse fortuiti miglioramenti ritmici, portarono alla creazione di quelle peculiarità sonore che ancora oggi caratterizzano la musica a Pastellessa.
Un’antica legenda popolare vuole, inoltre, che la Pastellessa sia nata come rituale per “scacciare il male”: infatti si racconta di contadini che percuotevano freneticamente botti, tini e falci nel tentativo di scacciare gli spiriti maligni dagli angoli bui delle loro cantine. Questo rituale ripetuto poi all’aperto, secondo l’antica legenda, rappresentava un aiuto propiziatorio per il buon raccolto.
Nato come rituale pagano, questa tradizione è confluita nella festa religiosa in onore di Sant’Antonio Abate, patrono degli animali e Santo protettore dalle avversità del fuoco.

Nelle polverose carte conservate presso gli archivi, ed in particolare nel catasto onciario di Macerata del 1754, nato per volere di Carlo III di Borbone il quale nel 1740 impose alle varie Università del Regno di Napoli la formazione dei relativi catasti per avere un controllo di tipo fiscale più accurato (dal medioevo e fino al XVIII secolo ogni nucleo demografico di una certa consistenza numerica del Regno di Napoli era qualificato come Università del Regno), si possono leggere i mestieri che si esercitavano in Macerata ai quali viene fatta risalire la manifestazione di Sant’Antuono. Accanto ai numerosi braccianti e «fatigatori della terra» vi era una larga schiera di galessieri, vaticali, ferrari, maniscalchi, bottai, manesi, tutti specializzati nella produzione di traini, botti, tini, falci e altri strumenti e arnesi che, combinati sui carri, segnano lo strumentario dei carri di pastellessa con le loro Battuglie. Ancora i documenti offrono delle testimonianze su questa festa. In un bilancio predisposto dall’Università di Macerata per l’anno contabile 1791-1792 vi è stanziata la somma di 20 ducati necessari per le feste del Santo Protettore S. Martino e per la festività di «S. Antuono Abbate» segno delle lontani origini della festa.
Sempre nel XVIII secolo, il 12 aprile 1766 il re del Regno di Napoli Ferdinando IV, figlio di Carlo di Borbone e nipote di Elisabetta Farnese, che succedette al padre nella guida del Regno, concesse al <…paroco de la tierra de Macerata del Casal de esa ciudad ed Real Permiso, para poder continuar la questua para la fiesta y capella de San Antonio…>.
Il parroco in questione era don Gonsalvo Peccerillo, che dalla sua Chiesa di Casalba (Santa Maria delle Grazie, nda) fu promosso titolare della Chiesa di San Martino Vescovo in Macerata (Campania, nda) nell’anno 1760. La nuova sede lo dotò della nomina di Abate, titolo di cui si fregiano i parroci di Macerata Campania da antichissima data.
Con tale carica, nel 1766, risolse una petizione alla Maestà del Re per essere autorizzato ad effettuare una questua nella nuova parrocchia al fine di celebrare la festa di Sant’Antonio Abate, <…solita a farsi ogni anno in onore del Santo, a cui i cittadini professano grandissima devozione…>, scriveva don Gonsalvo Peccerillo.
Un’altra importante traccia storica è data dal termine maceratese pastellessa, il quale viene utilizzato per indicare la musica percussiva prodotta dai Bottari di Macerata Campania. Questo termine, la cui terminologia deriva dalla past’e’llesse o past’e’llessa (pasta con le castagne secche) piatto tipico di Macerata Campania cucinato abitualmente nel giorno di Sant’Antuono, è legato ad Antonio Di Matteo, in arte Zì Antonio ‘e Pastellessa, un capobattuglia nato e vissuto a Macerata Campania fino alla prima metà del XX secolo (nato il 18/01/1872 e morto il 25/03/1951 a Macerata Campania). Zì Antonio ‘e Pastellessa, famoso per la sua cantina in via Santo Stefano a Macerata Campania dove era possibile degustare la pasta con le castagne lesse (fra Macerata e paesi limitrofi era l’unica cantina ad offrire questo piatto), come tanti altri capobattuglia era solito organizzare uno dei carri per la sfilata in onore di Sant’Antonio Abate, i quali ad inizio XX secolo venivano solitamente indicati come “Carri di Sant’Antuono”. A quel tempo, come accade oggi, ogni carro era contraddistinto da un nome in particolare ed il nome del carro di Zì Antonio ‘e Pastellessa era la “Battuglia di Pastellessa”, che era legato senza dubbio al soprannome del capobattuglia. La fama di questo carro e la bravura di Zì Antonio ‘e Pastellessa, anche fuori dalla mura cittadine, ha portato col tempo ad indicare tutti i Carri di Sant’Antuono col termine di Battuglie di Pastellessa e la musica eseguita dai Bottari di Macerata Campania col nome di pastellessa.
A confermare la fama di Zì Antonio ‘e Pastellessa è senza dubbio una delle canzoni più antiche, o che meglio ritorna alla mente, cantate sulle Battuglie di Pastellessa a Macerata Campania: “Per la Festa di Sant’Antuono”, la quale ci riporta ad inizio XX secolo. La canzone, infatti, risale ai tempi del famoso capobattuglia Zì Antonio ‘e Pastellessa e del bottaro Pasquale Ventriglia in arte Pascale ‘a Vorpe, il quale nacque a Macerata Campania il 5/10/1888. Presumibilmente il testo è stato composto fra il 1910 e il 1920, quando Pascale ‘a Vorpe aveva 20-30 anni, arrivando al giorno d’oggi come un’autentica testimonianza del passato.


Per la Festa di Sant’Antuono
(Testo e musica: Autore ignoto)

Vedite che ve caccia Macerata
pe chistu Santo vanno ascì a mpazzì.
Se scassano i strumiente int’a sunata,
ma chistu vizio nun se po perdì.
Ce sta Pascal a Vorp ca pur’iss fa furore
e quas tutt’ ll’ann semp a votta adda scassà.

A festa e Sant’Antuono è n’alleria
‘e suon e sti guagliun a pazzià.
Dicen tutt’a gent e sti paise
“Jammo a verè a festa e n’anno fa”.

Sunammo caccavelle, siscarielle, scetavaiasse e bughetibbù
‘e fest comm a chesta nun se ne fanno cchiù.

Vedite che ammuina ngopp a chiesa,
se spar o ffuoco che è na rarità.
Chill ca port o ciuccio corr e spara
‘e a gent allucca e corre pe scappà.
Ce sta Pastellessa ca pur isso se ra a fa,
o carr ammartenat della banda a cumannà.
Verit Pastellessa che v’ha saput fa.

Sunammo caccavelle, siscarielle, trummettelle e bughetibbù
na festa comm’a chesta nuie nunn’a verimme cchiù.

Peculiarità della Festa di Sant’Antuono

La festa in onore di Sant’Antuono è caratterizzata da quattro momenti legati alla devozione e alla tradizione folkloristica maceratese:

  • il fuoco (Cippo di Sant’Antuono);
  • la sfilata dei Carri di Sant’Antuono ovvero delle Battuglie di Pastellessa;
  • i fuochi pirotecnici figurati;
  • la riffa.

Il fuoco (Cippo di Sant’Antuono)
Una delle rappresentazioni iconografiche di Sant’Antonio Abate più ricorrente è con una fiamma che arde: il fuoco purificatore ricorda come questo Santo sia considerato anche il vincitore del male, colui che sconfisse il diavolo.
I paesi della Provincia di Caserta, e non solo, si sono tramandati di anno in anno la manifestazione di religiosità della “lampa”, che viene solennizzata col l’accensione del famoso “Cippo di Sant’Antuono”.
Il “Cippo” (o “Ceppo”), che usualmente si realizza con un bello fascio di legna, viene acceso dalla gente nelle strade e nelle piazze fin dalle prime ore della sera del 17 gennaio, per solennizzare il giorno dedicato a Sant’Antonio Abate.
A Macerata Campania è oramai tradizione accendere il Cippo nella serata che precede il 17 gennaio, in modo che possa ardere tutta la notte fino a consumarmi per quando è mattina. L’accensione del ceppo avviene a termine della sacra funzione del 16 gennaio dedicata al Santo, condotta dall’Abate curato di Macerata Campania, in cui avviene tra l’altro la benedizione degli animali. Nella stessa giornata vengono eseguiti i giochi tradizionali che richiamano gli usi e costumi di un tempo che fu, come il Tiro alla Fune e il Palo di Sapone, il tutto seguito da un buon piatto di past’ e ‘llessa (pasta con le castagne secche) accompagnato da un bicchiere di vino offerto dal Comitato festeggiamenti.

La sfilata dei Carri di Sant’Antuono ovvero delle Battuglie di Pastellessa
La sfilata dei Carri di Sant’Antuono, ovvero delle Battuglie di Pastellessa, è il momento più importante del folklore maceratese. Per questa occasione vengono allestiti dei carri allegorici di una lunghezza media di 16 metri e larghezza e altezza di 3.50 metri, su cui trovano alloggio dei particolari gruppi denominati appunto Battuglie di Pastellessa.
La Battuglia di Pastellessa, composta da oltre 50 percussionisti denominati Bottari di Macerata Campania e coordinata dalla figura più importante, il Capobattuglia, ripropone la tipica musica a Pastellessa  accompagnata dai canti tipici di Terra di Lavoro, dove botti, tini e falci, usati come strumenti a percussione, scandiscono particolari poliritmie dai significati lontani e profondi, che trasmettono la forza della cultura contadina di Macerata Campania, unica nel suo genere.
Nella tarda mattinata del 17 gennaio, ultimo giorno della festività di Sant’Antonio Abate, tutti i carri si dispongono lungo il corso della via Garibaldi a Macerata Campania. Da qui poi partono, uno alla volta, per esibirsi davanti al Comitato dei festeggiamenti, alle varie associazioni ed autorità, nella piazza al centro del paese, dove il popolo si raccoglie per assistere all’esibizione e all’accensione dei fuochi pirotecnici “figurati”.
E’ questo il culmine della festa: le voci della piazza, la frenesia della folla, il suono assordante degli strumenti si fondono e rendono questa esperienza unica e coinvolgente.
Il suono, prodotto con strumenti di evidente cultura rurale ed artigianale (lavorazione del legno), scandisce arcaici ritmi processionali: il ritmo a “pastellessa” , il ritmo a “muorte” e il ritmo a “tarantella”. Le botti, le tinelle (i cupelle) e le falci (i faucioni), semplici attrezzi da contadino e prodotti da artigiani locali (i mannesi o maestri d’ascia), diventano, sapientemente percossi da un gruppo di persone, degli strumenti musicali che producono ritmi molto caratteristici.
L’esibizione dei carri, il 17 gennaio, è il momento finale di una serie di preliminari che sono i tasselli che formano l’intera immagine del Carro di Sant’Antuono.
Il primo tassello è quello dell’allestimento (preparazione) dei carri. La “battuglia” dell’anno precedente inizia ad individuare il percorso preparatorio e a distribuire incarichi e mansioni. Alcuni preparano il piano di interventi strutturali e di ampliamento della superficie di carico del carrello/rimorchio (che poi diverrà il Carro di Sant’Antuono). Altri iniziano a controllare la sonorità di botti, tini e falci e ad intervenire con il procedimento della battitura dei cerchi e delle doghe, nel caso che le botti o i tini risultassero desonorizzate. Altri pensano alla scenografia e studiano drappeggi, colori, slogan. Altri ancora si dedicano al problema musicale, riascoltando le registrazioni dell’anno precedente e decidendo quali filastrocche scegliere o se proporne di nuove.
Tutti questi interventi mirano a preparare il carro per il giorno della festa. Anche ora il “carro” è il centro di tutta la manifestazione di religiosità, oggetto e soggetto centrale di un folklore iniziato moltissimi secoli addietro!
Alla fine dei preparativi il Carro di Sant’Antuono si presenta, al di là di addobbi, festoni, catenelle di carta ed altri ornamenti colorati, sostanzialmente come un grosso carro con dei rami di palma disposti ad arco con l’effigie di Sant’Antuono appesa al primo arco di palme a significare che l’aspetto folcloristico è motivato dalla devozione al Santo.
Sul piano di carico, modificato a seconda delle esigenze di spazio necessario per la sistemazione di botti, tini e suonatori, viene posto un impianto di amplificazione.
La parte bassa (ruote, balestre, putrelle e travi) viene poi coperta con un telo, che, chiuso a punta davanti e dietro, dà al carro la parvenza “non intenzionale” di una nave, come a voler rievocare la fantomatica leggendaria credenza che il Santo si sia trasferito dall’Egitto in Italia a bordo di una nave. Ma ciò non risulta a verità perché in “BIBLIOTHECA SANCTORUM”, a pagina 113, è esplicitamente detto: “Le reliquie, trasportate ad Alessandria e deposte nella Chiesa di S. Giovanni Battista, verso il 635, in occasione dell’invasione araba dell’Egitto, furono rilevate e portate a Costantinopoli. Di qui, nel secolo XI, passarono alla Motte–Saint–Didier in Francia, recate da un crociato al suo ritorno dalla Terra Santa!”.
Anticamente i carri venivano allestiti su carrette e trainati da persone. Successivamente le carrette furono sostituite da carri trainati da buoi o da cavalli ed abbelliti con frasche di palme, sotto le quali trovavano alloggio i Bottari di Macerata Campania, con i rispettivi peculiari strumenti, e il Capobattuglia, il quale scandiva il tempo e la durata dell’esecuzione con particolari gesti e a colpi di fischietto.
Oggi tutti hanno sostituito col trattore il lavoro del bue e del cavallo, e i carri hanno acquisito dimensioni molto più imponenti di quelli originali, ma nonostante ciò, la manifestazione conserva ancora i contenuti tradizionali.
I carri, così preparati, sfilano per le vie del paese e dei paesi limitrofi, mentre gli occupanti cantano filastrocche, mottetti e cantilene e percuotono armonicamente botti, tini e falci.
La specifica presenza della botte, del tino e delle falce, e non d’altro, nell’iconografia folcloristica della tradizionale Battuglia di Pastellessa hanno un significato simbolico che riporta questa tradizione risalente a tempi antichissimi. Capua antica (attuale Santa Maria Capua Vetere) e i “pagus” (villaggi) con essa conurbati erano rinomati per l’ottima qualità di falci e funi da loro prodotte. Ciò è facile rilevare dalla lettura della “Storia Civile della fedelissima Città di Capua” di Francesco Granata. Dalla stessa lettura si può evidenziare che con l’incremento dei commerci il trasporto di vettovaglie, vino, oli, granaglie, fatto con recipienti in creta o con i “vasa picata” (cioè contenitori di sparto (ginestra) in tessuti ed impermeabilizzati con cera e pece; potevano contenere anche liquidi), si dimostrò improduttivo sulle lunghe distanze… e si fece ricorso a contenitori in legno! Si cominciarono a costruire botti, tini, sili e quant’altro fosse utile a conservare, stoccare e trasportare i prodotti dell’agricoltura. E’ questo retaggio culturale-agricolo-artigianale la giustificazione della presenza di tali oggetti sul maceratese “Carro di Sant’Antuono”.

I fuochi pirotecnici figurati
Il 17 gennaio, a mezzogiorno, nella piazza principale di Macerata Campania alla presenza di migliaia di visitatori vengono fatti esplodere i fuochi pirotecnici figurati. L’iconografia tradizionale dei fuochi pirotecnici “figurati”, che rappresentano un altro importante tassello del mosaico del folklore maceratese, comprendono la presenza di un’immagine femminile (‘a signora ‘e fuoco, cioè la signora), di un animale domestico (‘o puorco, cioè il maiale), di un animale da tiro (‘o ciuccio, cioè l’asino) e di un attrezzo da lavoro (‘a scala, cioè la scala).

‘A signora ‘e fuoco (la signora): la figura femminile rappresenta il demonio negli episodi delle “tentazioni” nella vita del Santo. In zona la più antica versione degli attacchi demoniaci al Santo è quella delle sei scene degli affreschi del portico di S. Angelo in Formis (Caserta), databili al XII secolo.
Questo tema del Santo tentato nella carne dal demonio a forma di donna è quello più caro all’iconografia popolare. In aspetto discinto, castigato, giovane, vecchia o dal viso angelico la donna/demonio è identificata nell’immagine di cartapesta che viene bruciata in piazza a significare l’alto potere (in senso figurato) del fuoco purificatore.
‘O puorco (il maiale): per quanto concerne la presenza del porco nell’iconografia di Sant’Antonio, anche per Macerata Campania, essa è da attribuire alla tradizione popolare secondo la quale nel maiale deve vedersi il diavolo, che, sconfitto dal Santo, fu da Dio condannato a seguire il Santo sotto questo aspetto.
‘O ciuccio (l’asino): non vi è spiegazione logica nel rito della distruzione con il fuoco purificatore di un animale domestico di cui il Santo è protettore! Il “ciuccio” sta a rappresentare qualche altro essere animalesco che sia stato l’immagine falsa sotto la quale il demonio si è presentato al Santo per tentarlo o per contrastarne il percorso verso la santità. Questa ipotesi è riferibile al secondo dei tre momenti descritti nella “Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine: l’incontro di Sant’Antonio con un “centauro” durante il suo viaggio per recarsi a visitare San Paolo. La “mostruosità” dell’essere mitico, metà uomo e metà cavallo, con la quale il demonio si presenta al Santo, diventa nella credenza popolare un “ciuccio immondo”, non protetto dal Santo e perciò da bruciare assieme agli altri simboli del demonio!
‘A scala (la scala): la presenza di una scala nella iconografia del folklore di Sant’Antonio Abate è una prerogativa esclusiva di Macerata Campania perché non vi è presenza d’essa nei testi di chi si è occupato dell’argomento. Non si ha notizia neanche della eventuale motivazione giustificativa di quella presenza, a meno che non si tratti di un ex-voto riferibile a qualche miracolo operato dal Santo e nel quale la scala assume una presenza negativa, demoniaca e perciò da purificare.
Questi quattro simboli rappresentano per il popolo l’aspetto prevalente della figura di “Sant’Antuono” e la sua forza protettiva dalle insidie del mondo. La loro distruzione col fuoco, con il popolo festante, rappresenta la vittoria del bene contro il male, dell’uomo di fede contro le tentazioni terrene.

La riffa
La riffa è il momento di chiusura di tutto l’impianto delle manifestazioni folkloristiche di Sant’Antuono. La festa si chiude con la vendita all’asta dì tutti i beni in natura (e non!) raccolti durante la processione del Santo oppure offerti in precedenza dai credenti. I proventi servono a finanziare parte delle spese utili all’organizzazione della festa. Qui ritroviamo il riffatore che con la sua gestualità vende i doni raccolti in onore del Santo, dei doni che valgono molto poco ma che la gente sia per amore che per devozione verso Sant’Antuono è disposta a pagare qualsiasi cifra purché di averli a casa sua.
Oltre alla vendita all’asta dei beni in natura offerti dal popolo, a Macerata Campania si sorteggia un maiale allevato da alcune famiglie del posto per coprire parte delle spese.

Fonte:

  • sito web : www.omniamaceratacampania.it
  • Pasquale Capuano, Sant’Antonio Abate e i Carri di Sant’Antuono, 2007
  • Pasquale Capuano, Macerata – folklore e religiosità, 2005
  • Andrea Massaro, “Aspetti di vita a Macerata e Caturano nei secoli passati”, 1987