Le Battuglie di Pastellessa, ovvero i Carri di Sant’Antuono, sono caratterizzate da alcuni tratti caratteristici, legati alla tradizione maceratese. Infatti ritroviamo:
- Le palme: nell’allestimento del Carro di Sant’Antuono non dovrebbe mai mancare questo simbolo e segno caratteristico delle origini egiziane di Sant’Antonio Abate. Inoltre si dovrebbero evitare argomenti che si allontanano dalla tradizione della presente festività o che sono legati al Carnevale.
- Le botti: è il simbolo più significativo della Battuglia di Pastellessa; essi vengono suonate percuotendo i cosiddetti “mazzafuni” sul fondo della botte. Si ricorda che probabilmente l’origine della Festa di Sant’Antuono, è dovuta in antichità alla presenza nel paese di Macerata Campania di mannesi e artigiani fabbricanti di strumenti agricoli come le botti.
- I tini: le “tenelle” o “cupelle” sono anch’esse uno strumento del tutto originale della Battuglia di Pastellessa e rappresentano la parte ritmica che cadenza la base musicale fondamentale di tutto l’impianto armonico del suono; essa è prodotta percuotendo le cosiddette “mazzarelle” sul fondo del tino.
- Le falci: esse, forse, rappresentano l’elemento della morte e della rinascita, il ciclo della vita e delle stagioni che si ripete, oltre ad essere anche uno strumento contadino molto usato e presente nella cultura rurale dei maceratesi. Questo strumento, pur se pericoloso da maneggiare, risulta essere fondamentale per la battuglia. Esse vengono suonate percuotendo una bacchetta di ferro di 20 cm circa sul bordo non tagliente della falce.
- I mazzafuni: è il maglio con cui si percuote la botte; come ci ricorda l’etimologia della parola, dovrebbero essere composti da mazze di legno e canapa o fune fatta di canapa (vista la grande coltivazione e produzione di canapa che si aveva a Macerata Campania fino agli ’70 del XX secolo). Oggigiorno la gomma e tessuti come il cotone hanno preso il posto della canapa.
- Le mazzarelle: dovrebbero essere per tutti dei piccoli bastoni di legno di 30 cm circa con la punta arrotondata, con le quali suonare i tini.
- I bottari di Macerata Campania: sono i percussionisti, cioè i suonatori, che compongono la Battuglia di Pastellessa. A seconda del ruolo, percuotono botti, tini e falci sotto la direzione di un “capobattuglia”.
- Il capobattuglia: è il maestro d’orchestra che dirige l’esecuzione musicale della Battuglia di Pastellessa, attraverso l’uso di gesti e colpi di fischietto.
Nella Battuglia di Pastellessa vengono eseguiti tre modelli ritmico-musicali, che vengono fusi fra loro secondo la creatività del capobattuglia. Generalmente si usa indicare la musica prodotta con botti, tini e falci con il termine generico di “Pastellessa”, anche se corrisponde a solo uno dei tre ritmi base eseguiti:
- Il primo modello ritmico-musicale è detto “’a battuglia ‘e Sant’Antuono” o anche “a Sant’Antuono” e prevede l’utilizzo di botti, tini e falci. La musica a Sant’Antuono inizia e si conclude con una specie di cadenza sospesa detta “ruglio” o “strenta”. Qui infatti gli esecutori eseguono un rullato sui barili e sulle falci, mentre il capobattuglia concitatamente dà dei prolungati colpi di fischietto. Improvvisamente, poi, lo stesso capobattuglia emette un segnale fonico: Ohì! Questo grido ha lo scopo di far riprendere il ritmo dopo la sospensione della strenta e così continuare la musica a Sant’Antuono.
- Il secondo modello è chiamato “a Pastellessa” e tale termine è legato al piatto tipico maceratese “past’ e ‘llesse” (pasta con le castagne lesse), cucinato come da tradizione il giorno di Sant’Antuono a Macerata Campania. Il ritmo qui si presenta molto più lento ed è eseguito sulle botti, sui tini senza falci e senza fischietto.
- Il terzo ed ultimo modello ritmico è detto “a Tarantella”, che prevede l’utilizzo di tutti gli strumenti e serve normalmente per accompagnare i canti.
I canti prodotti dalle Battuglie di Pastellessa sono quelli dei contadini e degli operai che in genere usavano cantarli o recitarli durante il lavoro, così che si alleviasse la durezza della fatica. Oltre a questa motivazione, per così dire, liberatoria, essi possono essere presi come rivelatori di un gusto, della fantasia e della pensosità del popolo rurale di “Terra di Lavoro”. I canti erano scherzi, epigrammi, dispetti, motteggi, intessuti di frasi simboliche, equivoche, fantasiose, maliziosette, comunque sempre divertenti.