Parrocchia San Martino Vescovo
Macerata Campania

Aggiornamento parrocchiale
Venerdì 2 dicembre 2016

 

Sant’Antonio Abate (Sant’Antuono)
(251-356)

Cari amici,

la festa di Sant’Antonio Abate è ormai vicina. Dobbiamo riportare al cuore la bellezza di questa festa, con la novità di vita e di entusiasmo di questo anno.

Tanti anni fa, i nostri paesani contadini ebbero la geniale idea di trasformare gli attrezzi agricoli (botti, falci, tinelle, ecc.) in strumenti musicali: produssero un ritmo musicale che tutti noi conosciamo. Lo scopo era quello risvegliare la terra per il nuovo raccolto.

Inoltre, a quel tempo, il fuoco era particolarmente pericoloso perché poteva facilmente divorare tutto: stalle di legno, attrezzi, raccolto. Gli animali erano un bene primario sia per il lavoro, come il cavallo, il bue; sia per il cibo, come le galline, i conigli, i maiali, le anatre. La perdita di questi animali rappresentava un serio problema. Perciò, il suono prodotto dagli strumenti agricoli aveva anche il compito di allontanare il male dal fuoco e dagli animali.

La Chiesa ha evangelizzato questa antichissima tradizione con la luminosa testimonianza dell’abate Sant’Antonio, dandole un senso più pieno: bisognava santificare (separare dal male) non solo la natura, simboleggiata dal fuoco e dagli animali, ma anche le persone.

Antonio, nato intorno al 251 da un’agiata famiglia di agricoltori nel villaggio di Coma, l’attuale Qemans presso Eracleopoli nel medio Egitto, a diciotto-vent’anni rimase orfano di ambedue i genitori con un ricco patrimonio terriero da amministrare e con una sorella minore da educare.

Era giovanissimo quando ha deciso di seguire Gesù, vendendo tutto per i poveri: aveva 18 anni, ero uno di voi!

Una domenica in Chiesa, sentì leggere gli Atti degli Apostoli, dove si narra che i primi cristiani vendevano tutto quello che avevano e lo portavano agli apostoli. Ne rimase profondamente impressionato. La Domenica seguente si leggeva il passo del Vangelo dove Gesù dice: «Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi»[1].

Antonio sente che quelle parole dette da Gesù nella Messa sono proprio per lui. Vende tutto quello che ha, lo dà ai poveri, affida la sorella che sarebbe rimasta sola a delle donne cristiane, e si dona completamente a Dio secondo il comandamento: “Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze”.

Pasquale, un bambino della nostra Parrocchia, dopo aver ascoltato questa storia, mi ha detto: «Nella Messa della domenica, Gesù ha parlato ad Antonio attraverso il Vangelo. Allora è strano festeggiare questa festa senza partecipare alla Messa!». «Certo che è strano – gli ho risposto –, specialmente quando, da settembre al 17 gennaio, si punta soltanto sulla battuglia di pastellessa, contentandosi di essere chiamati bottari o di ingrossare il carro. E poi? Si è del tutto assenti, non solo la Domenica, ma anche nelle solennità come l’Immacolata Concezione, la solennità del Natale, la solennità di Maria Madre di Dio – primo dell’anno – e la solennità della Epifania del Signore. Ma, per grazia di Dio, i nostri giovani possono sempre ricominciare per seguire l’esempio di Antonio». Quel bambino, ha capito!

Antonio, rivestito di un rude panno, andò ad abitare in un’antica tomba scavata nella roccia di una collina, non molto lontano dal suo villaggio, per pregare. Perché pregare? Perchè voleva seguire Gesù, vivere come lui, e Gesù pregava. Quante volte nel Vangelo lo vediamo che lascia tutto per andare da solo a pregare.

Il luogo del suo rifugio venne scoperto dai suoi cittadini e Antonio si spinse più lontano ancora, verso il Mar Rosso. Sulle montagne del Pispir c’era una fortezza abbandonata, abitata solo dai serpenti ma in compenso con una buona acqua sorgiva. Vi si trasferì nel 285 e vi rimase vent’anni.

Perchè egli fuggiva così lontano, nei luoghi sempre più somiglianti al deserto? Per seguire Gesù che, guidato dallo Spirito, si ritirò nel deserto “per essere tentato dal demonio”, e lì fare la scelta del Padre. Antonio vuole condividere questa scelta di Gesù: nella prova sceglie di essere “non più schiavo ma figlio”.

Non è stato facile!

«Il diavolo, odiatore del bene e invidioso, non sopportò di vedere in un giovane un tale proposito, e tutte le mali azioni che gli erano abituali si ingegnava ad applicarle anche contro di lui»[2].

Cosi, il diavolo fece di tutto per convincerlo a tornare indietro «insinuandogli il ricordo dei beni posseduti, la cura che doveva alla sorella, i legami familiari, l’amore del denaro, della gloria, il successo, la lussuria»[3].

Una notte «il Nemico, il diavolo, lo coprì di percosse al punto che per i tormenti giaceva a terra senza voce»[4].

Certo, egli insegna che non bisogna temere i demoni, ma è necessario non farsi imbrogliare: «I demoni non sono nulla, e per di più svaniscono velocemente, soprattutto se ci si protegge con la fede e con il segno della croce»[5]. «Tutte le loro pratiche, infatti, per la grazia del Signore, non portano a nulla»[6].

Da qui il primo significato del suono dei Carri: è il segno della lotta contro il Nemico, il diavolo, che va in giro come un leone ruggente, cercando chi divorare.

Il suono prodotto dagli attrezzi agricoli manifesta una verità evangelica: l’attuazione delle promesse battesimali: «“Rinunciate al peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio?”, “Rinunciate alle seduzioni del male, per non lasciarvi dominare dal peccato?”, “Rinunciate a satana, origine e causa di ogni peccato?”, “Rinuncio!”; “Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra?”, “Credo!”»[7].

Pertanto, il suono dei Carri di Sant’Antonio abate (Sant’Antuono), esprime, da parte di chi sale su un Carro, piccolo o grande che sia, la scelta personale di essere “non più schiavo ma figlio”; l’impegno di essere cittadini degni del Vangelo, lottando contro ogni forma di male, spingendolo via dalle nostre famiglie, dalla nostra parrocchia, dalla nostra comunità cittadina; determinati a non mettere niente prima dello spirito di famiglia e di fraternità nella vita ecclesiale, sociale e politica.

Papa Francesco ci esorta ad essere impegnati così nell’oggi del nostro tempo:

«Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia.
(…) Non possiamo ignorare che nelle città facilmente si incrementano il traffico di droga e di persone, l’abuso e lo sfruttamento di minori, l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità. Al tempo stesso, quello che potrebbe essere un prezioso spazio di incontro e di solidarietà, spesso si trasforma nel luogo della fuga e della sfiducia reciproca. Le case e i quartieri si costruiscono più per isolare e proteggere che per collegare e integrare. La proclamazione del Vangelo sarà una base per ristabilire la dignità della vita umana in questi contesti, perché Gesù vuole spargere nelle città vita in abbondanza (cfr Gv 10,10)… Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città»[8].

Il diavolo cerca di ingannare Antonio con tutti i mezzi possibili per terrorizzarlo, presentandosi sotto forma di animali del luogo dove egli si trovava: «fiere, serpenti, iene…»[9]. Antonio, compreso l’inganno del Nemico, disse a tutti loro: «Se avete ricevuto facoltà contro di me, sono pronto ad essere divorato da voi, ma, se mi siete stati lanciati dai demoni, ritiratevi senza indugio, poiché sono un servitore di Cristo”. Mentre Antonio diceva questo, fuggirono, inseguiti dalla sferza della sua parola»[10].

La parola di Antonio, nella nostra tradizione, passa dalla sferza contro il diavolo alla forza della benedizione degli animali domestici, per liberarli da ogni male: la benedizione degli animali è un dono molto prezioso per i contadini, essendo gli animali un bene necessario di sostentamento.

Benedire il fuoco, con l’intercessione di Sant’Antonio, significa renderlo buono, come San Francesco rese buono il lupo di Gubbio. Anzi, il Fuoco acquista il significato della presenza dell’Amore dei Tre: Padre, Figlio e Spirito Santo. Perciò, il fuoco non è più il nemico dei contadini: esprime presenza, compagnia, calore, spirito di famiglia. La Benedizione del fuoco è un altro bellissimo dono di Dio per i contadini.

Anche San Francesco vedeva la terra, la natura, come la nostra casa comune e come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba»[11].

Nella Lettera enciclica, Laudato si’, Papa Francesco riprende questo pensiero:

«Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora»[12].

Nella Lettera, dopo una prolungata riflessione, Papa Francesco propone due preghiere, ne riporto una:

«Figlio di Dio, Gesù,
da te sono state create tutte le cose.
Hai preso forma nel seno materno di Maria,
ti sei fatto parte di questa terra,
e hai guardato questo mondo con occhi umani.
Oggi sei vivo in ogni creatura
con la tua gloria di risorto.
Laudato si’!
Spirito Santo, che con la tua luce
orienti questo mondo verso l’amore del Padre
e accompagni il gemito della creazione,
tu pure vivi nei nostri cuori
per spingerci al bene.
Laudato si’!
Signore Dio, Uno e Trino,
comunità stupenda di amore infinito,
insegnaci a contemplarti
nella bellezza dell’universo,
dove tutto ci parla di te.
Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine
per ogni essere che hai creato.
Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti
con tutto ciò che esiste.
Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo
come strumenti del tuo affetto
per tutti gli esseri di questa terra,
perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te.
Illumina i padroni del potere e del denaro
perché non cadano nel peccato dell’indifferenza,
amino il bene comune, promuovano i deboli,
e abbiano cura di questo mondo che abitiamo.
I poveri e la terra stanno gridando:
Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce,
per proteggere ogni vita,
per preparare un futuro migliore,
affinché venga il tuo Regno
di giustizia, di pace, di amore e di bellezza.
Laudato si’!
Amen»[13].

Infine, Antonio vuole indurci a lasciarci amare e perdonare, anche se fossimo peccatori incalliti: Dio ci perdona tutto, ci perdona sempre.

Così scrive al suo amico Teodoro:

«Antonio saluta nel Signore il diletto figlio Teodoro! Sapevo che Dio non avrebbe fatto alcuna cosa se non per rivelare ai profeti suoi servi la sua salvifica dottrina. Credevo perciò di non doverti manifestare quanto il Signore da tempo mi aveva rivelato. Ma, dopo che ho visto i tuoi confratelli che erano con Teofilo e con Copre, ho ritenuto di comunicarti la rivelazione: molti di coloro che adorano il Cristo secondo verità peccano anche dopo essere stati battezzati, e questo accade un po’ dappertutto, il Signore cancella tutti i loro peccati. Nel giorno in cui questa mia lettera ti sarà consegnata, leggila dunque ai tuoi fratelli perché essi ne possano trarre giovamento. Salutali da parte mia, così come i miei salutano te. Ti auguro ogni bene nel Signore»[14].

L’abate Sant’Antonio muore il 17 gennaio 356, all’età di 105 anni. Lascia a tutti la sua sapienza raccolta dai suoi discepoli in 120 detti e in 20 Lettere.

Ai suoi e a noi egli scrive: «Chiedete con cuore sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto, ed esso vi sarà dato» (Lettera 8).

Buona festa!

Con amicizia e affetto fraterno

don Rosario, parroco

 

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[1] Atanasio di Alessandria, Sant’Antonio Abate. La sua vita, pp. 153-155, Sources Chrétiennes, Edizioni Studio Domenicano (12), Bologna, 2013.

[2] Ivi, p. 165.[3] Ibidem.

[4] Ivi, p. 179.

[5] Ivi, p. 227.

[6] Ivi, p. 233.

[7] Rito del Battesimo dei Bambini, Rinnovazione delle promesse battesimali, pp. 101-102.

[8] Papa Francesco, Esortazione Apostolica, Evangelii Gaudium, pp. 71-75.

[9] Atanasio di Alessandria, Sant’Antonio Abate. La sua vita, p. 227.

[10] Ivi, p. 313.

[11] Papa Francesco, Lettera Enciclica, Laudato si’, p. 1.

[12] Ivi, p. 2.

[13] Ivi, p. 246.

[14] Sant’Antonio Abate, Ottava lettera, A Teodoro.